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Tracce di sport si ritrovano in molte civiltà, ma è solo nell’Antica Grecia che esso assume un ruolo notevolmente rilevante nella società e nella cultura. L’importanza delle manifestazioni sportive è testimoniata dal fatto che i Greci costituirono la loro cronologia prendendo come inizio l’anno della prima Olimpiade (776 a.C.) e organizzarono le Olimpiadi per più di mille anni.

Durante questi eventi venivano sospese addirittura le guerre in corso per dare la possibilità anche ai militari, spesso i più validi tra gli atleti, di potervi prendere parte. La pratica sportiva nell’Antica Grecia era tutto fuorché pura e leale come era stata idealizzata nell’Ottocento; oltre a una mancanza culturale di quello che oggi viene definito fair play, gli atleti gareggiavano per vincere a tutti costi per ottenere la gloria conseguente. Una vittoria nei "periodos" portava oltre a vantaggi economici indiretti, poiché la polis premiava l’atleta vincente con un vitalizio e pasti caldi gratuiti a vita, anche un prestigio tale da poter rappresentare, per chi lo avesse voluto, un trampolino per la propria ambizione. Non c’erano praticamente limiti alla possibilità di trarre vantaggio dalla passione per lo sport e per le vittorie in vista di obiettivi che erano in senso lato sopratutto politici. Se l’Ekecheria, la tregua sacra, permetteva la partecipazione al mondo sportivo greco, la corsa a piedi e dei carri, i lanci, la lotta, il pugilato, il pancrazio garantivano la multi sportività dell’evento.

Le gare sportive erano solo una parte delle festività che prevedevano anche sacrifici alle divinità. Lo sport era, come la guerra, l’attività per eccellenza degli aristocratici e dei liberi cittadini i quali, quando vincevano, assumevano un grandissimo onore che valeva più del premio attribuito ai vincitori (una corona d’ulivo) poiché nella cultura greca si dava un importanza vitale al giudizio pubblico. Essere i primi significava anche essere consacrati davanti alla collettività, mentre essere secondi era avvertito come un non essersi mostrati all’altezza e quindi degni solo del pubblico disprezzo. Nella “cultura della vergogna” greca, primeggiare in una manifestazione di carattere sociale come quella sportiva, non significava solo un semplice successo ma voleva dire soprattutto essere celebrati come migliori. Proprio per questo nell’ambito della cultura sportiva greca sarebbe errato parlare di spirito atletico.

Sito realizzato da: Barin Francesco & Mattiello Nicola

Gruppo di lavoro: Barin Francesco, Mattiello Nicola, Zanin Emily e Barolo Simone

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